È la rivincita dei piccoli. Paiono più degni di fiducia e capaci di coinvolgere, oltre ad attrarre i brand per alcuni altri aspetti.
Ne abbiamo già parlato come ottimi partecipanti alle brand community, ma altre a ciò possono essere usati anche per far crescere un brand o un suo prodotto o servizio, a volte con risultati migliori di quelli ottenuti con i cosiddetti macro e mega influencer.
Si tratta di persone molto attive sui social media, in particolare su Instagram, YouTube e Facebook, tanto da iniziare ad avere un certo seguito. Spesso sono specializzati in un tema di nicchia così da diventare interessanti per i brand perché interagiscono con una audience molto verticale. Stimolano i loro follower con le proprie opinioni, fanno loro domande dirette e sono attenti a rispondere sempre. Quanti follower hanno? Essendo il fenomeno ancora relativamente recente, non abbiamo una risposta precisa. Diciamo che a noi è parsa una buona suddivisione quella che dà ai nano influencer tra i 1.000 e 10.000 follower e ai micro influencer 10.000-50.000 follower. Le quantità differiscono a seconda degli studi, per arrivare in alcuni casi a un massimo di 100.000 per i micro, a quanto abbiamo finora visto.
Perché ai brand piacciono nano e micro influencer?
Innanzitutto perché paiono più degni di fiducia e capaci di coinvolgere, a detta del loro stesso pubblico. Chi li segue li sente vicini a sé per caratteristiche e stili di vita, a differenza dei macro e mega influencer. I piccoli hanno creato rapporti stretti con i loro follower con cui vantano una grande interazione (che va al di là di like e condivisioni) e sono sentiti come autentici, quasi degli amici, e degli amici uno si fida, soprattutto se dimostrano di saperne molto su un determinato argomento.
Amano condividere ciò che piace loro così diventano sostenitori attivi di certe marche, di cui raccomandano di frequente prodotti e servizi ai loro follower.
Come conseguenza, influenzano le scelte di acquisto dei loro follower che le aziende traducono in tassi di conversione. E bisogna considerare che il 99,2% di chi ha fra i 1.000 e i 10.000 follower crede nei prodotti e servizi che promuove (2018 Global Micro-Influencer Study di SocialPubli.com) e che il 37,2% decide di collaborare con un brand più d’una volta proprio (e solo) perché è un suo fan e ne usa già di frequente i prodotti o servizi.
Infine, questo tipo di influencer è facile da contattare via email o chat social, e senza agenti intermediari, e richiede investimenti contenuti, a volte nemmeno monetari bensì in prodotti, servizi o esperienze (29,2%), accesso a eventi esclusivi (17,8%) o partnership (7,9%, sempre SocialPubli.com).
HelloSociety, acquisita due anni fa dal New York Times, ha scoperto che i micro influencer dai 30.000 follower in giù sono i più vantaggiosi con i quali lavorare per gli operatori di marketing (TheStartup).
Quando si vuole coltivare una relazione di qualità, basata sulla fiducia, e un legame stabile con la base della propria brand community una strategia di comunicazione che coinvolga nano e micro influencer è vincente. Quando invece c’è bisogno di numeri, per esempio per fare un lancio di prodotto o fare awareness, è utile guardare agli influencer più grandi.
Il 59,7% delle aziende intervistate da ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing) nel 2018 lavorava con influencer con meno di 30.000 follower. Aveva obiettivi diversificati che comprendevano anche l’incremento della brand reputation (18,3%), l’aumento dell’engagement sui canali social (16,8%) e il rafforzamento della relazione con utenti e community (10,7%).